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Milan, Maldini: “I rossoneri? La mia passione, è mancata stabilità”

Redazione Il Milanista

Il direttore tecnico del Milan, ha concesso una lunga intervista al portale So Foot, ecco che cosa ha detto la bandiera e dirigente rossonero

MILANO  - Ecco le parole di Paolo Maldini, leggenda, bandiera e direttore tecnico del Milan al So Foot:

"Non ho mai creduto alla possibilità che il Milan potesse sparire. Le difficoltà vissute dal club nell'ultima parte dell'era Berlusconi, sono note a tutti. Così come quelle con la proprietà cinese. Poi è arrivato il gruppo Elliott, proprio in virtù di queste difficoltà. Come è stata chiaro quale sarebbe stata la nuova proprietà Leonardo mi ha voluto al suo fianco nel 2018".

Sugli ultimi anni del club meneghino:

"Nonostante le tante difficoltà il Milan ha vinto uno scudetto e giocato in Champions League. Tra il 2009 e il 2012 poi c'è stato un ricambio generazionale. Calciatori importanti per questo club hanno smesso di giocare oppure sono andati via. In situazioni come questa, bisogna essere bravi a prevedere e se non lo si fa allora è difficile riuscire a centrare risultati sportivi. Chi viene dopo un ciclo importante non riesce ad essere alla stessa altezza, c'era l'idea di riuscire a tenere comunque in alto il club, ma così non è stato. In questi casi bisogna pianificare sempre, costantemente. Inoltre è stata fatta una campagna acquisti costosa, ma si è fermato tutto poco dopo e un grande club è tale se raggiunge e garantisce stabilità, sia di gestione che di squadra. E devo dire che negli ultimi anni di presidenza Berlusconi, e anche nell'anno e mezzo in cui c'era il proprietario cinese a capo del club, non c'è stata questa stabilità".

Maldini e il suo rapporto con il Milan:

"Il mio ritorno non era un obbligo né un diritto. Non ho mai pensato che avrei dovuto per forza ricevere una chiamata da chi lavorava nel club. Ho giocato fino al 2009, poi ho fatto altro, altre esperienza, anche lontano dal calcio. Per me non era necessario. Poi ovviamente il Milan è sempre stato la mia passione, così come il calcio. Volevo vivere il mio ritorno da attore, se mai fosse esistita questa possibilità. Anche perché volevo rispettare il mio passato, quando sono stato cercato non avevo in mente di avere un ruolo operativo all'interno del club".

Il 'suo' Milan:

"Dipende sempre dal tempo che hai a disposizione, noi non avevamo quello che ha avuto la presidenza Berlusconi, per fare un esempio. Se hai poca scelta allora devi essere creativo. Il primo anno con Leonardo avevamo una visione diversa di come doveva essere la squadra. Abbiamo fatto investimenti importanti, con la partenza di Leo si è deciso per l'austerità e di puntare sui giovani, scelte figlie delle difficoltà economiche. Il Milan perdeva 100 milioni l'anno. Le persone che ho scelto di avere al mio fianco, Massara e Boban, avevano in mente che lavorare per questa società significa rispettare quella che è stata la nostra storia. Non possiamo costruire un progetto che non abbia l'idea, per quanto piccola, di essere vincente nel breve periodo. La nostra sfida era chiara, tornare a livelli importanti e avere una società finanziariamente virtuosa. Oggi finalmente abbiamo un equilibrio, l'età media dei giocatori è scesa, sia la squadra più giovane d'Italia, tra i primi in Europa da questo punto di vista. Poi ci sono anche profili d'esperienza in grado di guidare i più giovani. E questo è fondamentale".

Cosa rappresenta oggi la società meneghina:

"Sono un ex giocatore rispettato e vincente, sono molto fortunato. E poi lavoro per il Milan anche se non va in Champions da otto anni, basta il nome per far sognare i giocatori. Ovviamente noi dobbiamo guardare al futuro e non al passato, anche se va sempre onorato. Quando ti chiami Milan e chiami un giocatore, sei uno dei tre club di maggior successo al mondo".

Come convince un calciatore:

"Oggi non è com'era in passato. Chiediamo sacrifici anche dal punto di vista economico al calciatore. Chi viene è perché lo vuole davvero, molti hanno fato anche rinunce importanti.Dobbiamo essere creativi e non possiamo combattere con gli altri club. L'ho sempre detto: il fair play finanziario ha fatto bene al calcio perché c'è meno debito, ma ha allargato il divario tra i grandi club e chi vuole investire e tornare competitivo. Il nostro fatturato oggi è circa un quarto o un quinto dei top club europei, abbiamo le stesse entrate del 2000, ma da allora il mondo ha presso tutta un'altra direzione".