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Walter Zenga
Ai microfoni de La Gazzetta della Sport è intervenuto Walter Zenga. L'ex portiere della Nazionale e dell'Inter ha parlato di Stefano Pioli, suo compagno di banco a Coverciano.
Zenga, ci racconti com’era il Pioli di vent’anni fa - “Assolutamente uguale a ora. Stefano è sempre stato uguale, mai cambiato. Una persona caratterizzata da un grande aplomb, un modo di essere e di porsi molto tranquillo. Una figura decisamente rilassante da avere accanto. Rilassante ma anche molto ‘pensante’. Io non frequento Milanello, spero comunque che ogni tanto si arrabbi… (ride, ndr). Ma credo proprio di sì”.
Da Milanello confermano... All’epoca comunque – parliamo di vent’anni fa – Pioli allenava la Primavera del Chievo - “Sì, venivamo da percorsi professionali diversi. Io allenavo il National in Romania e avevo già qualche partita di Coppa Uefa alle spalle, lui lavorava con i giovani. Ma lo conoscevo già da giocatore ovviamente e c’era una grande stima reciproca. Da allenatore era come da giocatore, con il stile irreprensibile. In campo non mi ricordo a memoria di una volta in cui abbia dato un calcio a vuoto. Ruoli diversi, stesso stile anche in panchina”.
Ma sui banchi era un “secchione”? - (risata, ndr) “Beh, in quel contesto il concetto di secchione è relativo. E’ qualcosa che si fa per avviarsi a una professione bellissima e non un obbligo scolastico. E poi quando si passano mesi interi, tutti i giorni insieme per otto ore, si crea per forza di cose un rapporto. C’era uno scambio di idee, un confronto continuo. Chiacchierare e confrontarsi è la cosa più importante in quel contesto. Ancora oggi, quando vado a osservare un allenamento, il lavoro di un collega, ritengo più importante un pranzo trascorso a parlare piuttosto che guardare il lavoro in sé per sé. E’ dalle parole, dal dialogo che si capisce la mentalità di un allenatore, come gestisce un gruppo, come affronta i momenti negativi”.
Per come lo conobbe lei, vedeva Pioli più visionario o più applicato? - “Fino a poco tempo fa lo vedevo molto applicato, poi dalla pandemia in avanti l’ho trasferito di diritto nella categoria dei visionari. Ci sono due momenti cruciali nella sua esperienza al Milan. Il primo è legato allo 0-5 con l’Atalanta, il secondo alla sconfitta con il Genoa in casa. In quel momento, con la squadra in crisi, senza pubblico, sarebbe stato molto facile smarrire tutto. Lui invece è stato bravo a essere visionario, a trovare la soluzione al problema. Anzi, ai problemi”.
E quale soluzione ha trovato? - “Quella legata alla sua personalità, con cui ha portato la squadra a infilare una lunga serie di partite senza sconfitte. Pioli è riuscito ad alleggerire il gruppo dalle pressioni, prendendo su di sé le responsabilità. E lì ha svoltato”.
Che cosa apprezza maggiormente di lui? - “Quando ha allenato l’Inter non aveva questo aplomb e questa empatia con la squadra. Cose che invece al Milan è riuscito a crearsi. Indipendentemente dalla vittoria del campionato o meno, lo vedo molto coeso con l’ambiente, con chi gli sta intorno. E poi ha il grande vantaggio di avere accanto Maldini e Massara, che prima di tutto sono stati giocatori. Due figure che esulano un po’ dal semplice ruolo in giacca e cravatta. Il club è stato bravo a mettergli di fianco due persone molto valide che sanno di pallone a 360 gradi”.
Per ciò che sta mostrando Pioli, meriterebbe di vincere questo scudetto? - “Se devo essere onesto, spero che l’Inter faccia nove vittorie e siano i nerazzurri a vincere lo scudetto (risata, ndr). Diciamo che in termini di allenatori lui, Spalletti e Inzaghi meriterebbero il titolo ognuno al 33 per cento. Tutti a turno, a seconda del periodo, hanno saputo far giocare bene le proprie squadre”.
Insomma, volendo riassumerla in un concetto: non la stupisce dove è riuscito ad arrivare Pioli - “No, non mi stupisce affatto. L’ultima volta che ci siamo incontrati eravamo entrambi senza squadra, in occasione di un Parma-Cagliari. Quella volta, dopo averlo salutato, dissi a un amico che era con me: ‘Pioli diventerà un top allenatore in Italia’. Ci ho visto lungo e non chiedetemi perché, ma quella volta avevo visto un uomo diverso”.
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