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Roberto De Zerbi
Roberto De Zerbi, allenatore dello Shakhtar Donetsk, in una intervista a La Gazzetta dello Sport è tornato a parlare della fuga dall’Ucraina rivelando anche di aver ricevuto offerte da club esteri per portarlo in panchina.
GUERRA – «Guardo tutto. Dalla mattina alla sera. Non riesco a vedere altro, nemmeno le partite. Provo un grande vuoto. Sto peggio adesso dei giorni passati a Kiev sotto le bombe. Là c’era da fare: organizzare la fuga per noi e i giocatori, parlare con l’ambasciata. Qui non si può fare niente. Solo guardare. Sentire chi è ancora là».
CONOSCENTI ARRUOLATI – «Un magazziniere e un giocatore, ma non in prima linea. A Kiev per fortuna non c’è più nessuno, siamo riusciti a spostare i giocatori nella parte occidentale del Paese. Portarli fuori purtroppo non si può: chi ha tra i 18 e i 60 anni non può lasciare l’Ucraina. Alcuni dipendenti vivevano a Irpin, le loro case sono state bombardate. Il dottore abita a Obolon, bombe anche lì».
CAMPANELLO D’ALLARME – «Il giorno di City-Tottenham. Dovevamo sorvolare il Mar Nero, ma c’erano esercitazioni russe. Campanello d’allarme. Arriviamo a Kiev, ci fermiamo in hotel: non sono mai tornato a casa, avevo una brutta sensazione. Lunedì 21 Putin fa quella conferenza stampa pazzesca: cinico, prepotente, dice che l’Ucraina non ha senso di esistere, riconosce il Donbass e Lugansk. Errore: l’ho visto con i dipendenti del club, tutti del Donbass e filorussi. E ora orgogliosamente ucraini. Comunque, pensavano tutti si fermasse lì. Il mattino del 23 facciamo allenamento, mica tanto tranquilli: in ufficio avevamo una mappa con le linee evidenziate per il tragitto da fare, verso la Polonia, la Slovacchia e la Romania. Alle 17 arriva un messaggio audio dall’ambasciata italiana: lasciare urgentemente il Paese. Ribadito da un whatsapp delle 20.27».
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