MILANO - Ai microfoni di MilanNews.it è intervenuto Umberto Gandini, ex dirigente rossonero dell'era Berlusconi e un passato anche nella Roma di Pallotta. Ecco le sue parole del presidente della FederBasket italiana a MilanNews.it:
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Gandini: “Pioli ha fatto crescere un gruppo coeso e unito”. E su Maldini…
Ecco le parole dell'ex dirigente rossonero
Alla luce di come il Milan si era presentato ai blocchi di partenza, si aspettava una stagione di questo calibro e che cosa l’ha stupita del gruppo di Pioli? - “Non me l’aspettavo anche se evidentemente il finale in crescita della scorsa stagione faceva ben pensare. Non me l’aspettavo non perché non avessi fiducia nella struttura della squadra o della società ma perché pensavo che fossero un po’ più indietro nella costruzione di una squadra che potesse competere a questi livelli. Quello che mi ha fatto più piacere è il fatto che è continuato l’effetto Pioli che ha contribuito a far crescere un gruppo squadra coeso e unito, intorno all’allenatore e a Ibrahimovic. La squadra ha preso consapevolezza e ha vinto partite importanti. Ha tenuto testa a formazioni titolate per un lungo periodo del campionato e si trova in una posizione invidiabile."
Tra i protagonisti di questo Milan si può citare Paolo Maldini, ora impegnato in dirigenza. Da esterno ma soprattutto dirigente di lungo corso quale lei è, come giudica l’approccio di Maldini a questo nuovo mondo? - “Ha iniziato un percorso insieme a Leonardo qualche anno fa ed è rientrato nel calcio dopo tanti anni, in un altro ruolo. Ha fatto quei passi in avanti che gli sono serviti per mettere a fattor comune le sue qualità che, sino a quel momento, non aveva ancora avuto la possibilità di dimostrare. Queste doti, a mio modesto avviso, sono state ottimamente completate e sostenute dal lavoro di Ricky Massara, un dirigente preparatissimo e competente"
Maldini, Gazidis e la dirigenza rossonera, negli ultimi anni, si sono confrontati con l’ostacolo del Fairplay finanziario. Alla luce dei recenti sviluppi che vedrebbero un accantonamento di quest’ultimo, quale è il suo giudizio su questo progetto? - “Aspetterei a dire di un accantonamento della struttura del Fairplay finanziario perché, sino ad ora, sono arrivate solo alcune indiscrezioni di stampa dagli ultimi incontri dalla Uefa. Il Fairplay finanziario ha avuto, sino ad adesso, il risultato importante di ridurre del 90-95% l’indebitamento del sistema che, quando fu lanciato, era veramente pesante. Ha avuto poi un effetto distorsivo, che secondo me era prevedibile, di cristallizzare le posizioni. Entrando in una logica di break-even e di ’spendi solo quello che generi’, evidentemente chi aveva i fatturati più grandi ha continuato a dominare dal punto di vista sportivo e allargare la forbice. Il risultato finale è che hai tolto la possibilità di crescita per quelle società che, cambiando proprietà o dirigenza, potevano diventare competitive e ha cristallizzato la posizione dei soliti noti che sono diventati più grandi. Questo effetto si era visto quasi subito e non si è riuscito, nel corso degli anni, a ridurlo. Con Rummenigge avevamo provato una piccola riforma per aiutare i club storici a ritornare in auge ma sostanzialmente le regole di base del Fairplay finanziario sono state in vigore sino all’arrivo del pandemia che, inevitabilmente, ha cambiato le carte in tavola".
Un altro capitolo spinoso che tiene banco, da mesi ormai, è quello relativo alla questione stadio. Secondo lei quanto è importante un nuovo impianto nel rilancio sportivo e economico dei due club milanesi? Condivide l’idea di un progetto in sintonia? - “Lo condivido assolutamente perché la storia dice che un sistema così può funzionare e la tecnologia attuale permette, in pochi secondi, che un impianto cambi facciata in pochi secondi. Era un progetto che all’epoca della presidenza Moratti avevamo valutato insieme, ovvero un riammodernamento di San Siro che poi non eravamo riusciti a concretizzare per una serie di ragioni. E’ estremamente importante un nuovo stadio non solo per la crescita economica e sportiva dei due club ma soprattutto per la crescita del sistema calcio italiano. Un nuovo impianto, nuove esperienze e la possibilità di un nuovo intrattenimento per il pubblico odierno, che è cambiato, è fondamentale"
Uno studio recente di Yougov definisce il Milan come il marchio sportivo italiano più forte nel mercato cinese e americano. Si può definire come fondamentale, nel calcio di oggi, il rilancio d’immagine e economico per un rilancio sportivo del club o la relazione è inversa? - “Intanto non sono sorpreso perché il lavoro fatto sia in campo che fuori dal Milan che conosco io e di cui ho fatto parte si è radicato nel tempo. E’ una conferma di quanto sia importante il brand Milan nel mondo. E’ giusto ricordare che ha avuto difficoltà negli ultimi anni e grazie alla competitività ritrovata negli ultimi mesi è riuscito a ritornare in auge. E’ chiaro che è un discorso similare al quesito se sia nato prima l’uovo o la gallina, l’esempio Milan dimostra che il successo sportivo è basilare per il valore commerciale del brand”
Ritorniamo al capitolo sportivo. Tra i trascinatori di questo Milan figura Zlatan Ibrahimovic, una storia d’amore nata 11 anni fa quando lei ricopriva ancora la carica di dirigente. Che cosa vi aveva spinto a capire che Zlatan, in quell’anno, poteva essere la figura giusta per riportare lo scudetto a Milano? - “La cosa più semplice da dire è che bastava guardare il suo curriculum. Zlatan aveva vinto campionati e titoli in tutte le squadre e in tutti i paesi in cui aveva giocato. A parte le sue più che note caratteristiche tecniche, ci aveva ammaliato la sua personalità. La capacità di costruire intorno a sé, di migliorare il suo rendimento e quello della squadra. Negli anni ha modificato il suo carattere facendolo diventare ancora più decisivo, in una maniera diversa di quello visto nel 2010-11. Il peccato fu che provammo a prenderlo quando lasciò la Juventus. In quella circostanza contò che, arrivando da Calciopoli, dovevamo qualificarci al preliminare con la Stella Rossa e le more del calendario che ci avevano portato ad attendere almeno la partita d’andata, portarono all’accordo tra Ibrahimovic e l’Inter".
Da un anno è impegnato nella carica di presidente della Legabasket italiana. Da appassionato di basket e di sport, le chiedo, è utopico pensare a un progetto sportivo in cui i club di serie a abbiano una squadra anche nel mondo della pallacanestro? In questo senso il pensiero va a società come il Bayern Monaco di coach Trinchieri o i celebri Barça e Real Madrid - “Quando eravamo al Milan, soprattutto nel mito della polisportiva Real Madrid e Barcellona, con il Dottor Berlusconi avevamo pensato di costruire un modello simile sulla base del gruppo Mediolanum che aveva la squadra di Hockey sul ghiaccio, pallavolo, rugby e baseball e che lavoravano come satelliti del gruppo Milan. Allora i tempi non erano maturi e l’esperimento non è stato particolarmente di successo anche se con le risorse di una grande proprietà come il Milan, le squadre degli altri sport hanno raggiunto titoli nazionali importanti. Io credo che le polisportive debbano nascere con un tessuto sportivo e sociale radicato nel tempo, proprio come Barcellona o gli esempi citati: una polisportiva con associazioni multidisciplinari e con una squadra trainante. Se questo è nella tradizione è un modello che può stare ancora in piedi, partire da zero invece è molto difficile e credo ci siano troppe differenze per lavorare ad alto livello in tutti gli sport"
Se deve definire con tre aggettivi che cosa ha rappresentato il Milan per lei, quali userebbe? - “Una famiglia. L’esperienza e il successo. Una cosa che mi piace dire è che i valori e la condivisione del progetto che ho vissuto, il desiderio di primeggiare e la gestione delle sconfitte sono esperienze uniche. Nel periodo in cui ho lavorato al Milan ho vissuto 6 finali di Champions League: tre ne abbiamo vinte e tre le abbiamo perse. Non è una cosa che capita abitualmente. Questa serie di valori che si sono cementati e con la lungimiranza di dirigenti come Galliani e Braida si è tramutata nella formazione di grandi squadre”
Ha citato il preliminare con la Stella Rossa, l’antipasto di una grande cavalcata nella Champions League 2006/07. Era presente nella squadra la consapevolezza di poter arrivare fino in fondo? - “La convinzione è maturata nel corso dell’anno. Per tutto quello che era successo, ovvero sia Calciopoli in Italia che l’ammissione e i regolamenti. Volevamo dimostrare che appartenevamo a quella competizione e che era giusto che ci fossimo era presente sin dall’inizio. Tant’è vero che tantissimi giocatori rinunciarono alle vacanze per presentarsi immediatamente a Milanello e per cominciare la preparazione in vista del preliminare, un impegno a cui non ci eravamo preparati psicologicamente. L’idea di prepararci da subito, invece, ha cementificato la nostra voglia di dimostrare chi eravamo"
Appurato che sicuramente sarà legato a molti giocatori e allenatori passati al Milan quando lei era in dirigenza, se dovesse stilare una top 11 dei suoi 23 anni in rossonero che nomi farebbe? - “Questa è una domanda interessante. Io sono per forza di cose legato ad un certo periodo del nostro Milan. In porta quindi Dida. Davanti a lui Maldini e Nesta centrali mentre sugli esterni Serginho e Cafu. A centrocampo Pirlo e al suo fianco Gattuso e Seedorf. Clarence faceva la differenza. Quando interpretava il ruolo con le sue qualità il Milan non perdeva mai, quando invece non seguiva i dettami di Ancelotti facevamo più fatica. Ambrosini è il nostro jolly. Si diceva che Ambrosini e Gattuso non potessero giocare insieme ma non era così. Poi l’attacco con Kakà, Shevchenko e Ibrahimovic. Allenatore? Carlo Ancelotti. Secondo me questa squadra avrebbe potuto giocare bene. Un albero di natale particolare. La differenza sostanziale con il Milan degli immortali e questi giocatori è che per me quel Milan era già formato e sono entrato un po’ da ospite. Il Milan dello scudetto di Zaccheroni e l’epopea di Carletto sono squadre che sento più mie e che mi hanno coinvolto di più sia nella conclusione di acquisti e di accordi. Mi vengono in mente tanti altri giocatori incredibili come Rui Costa, Stam, Crespo, Rivaldo o Ronaldinho, calciatori a cui sono legatissimo."
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